PALAZZO SCOPOLI
la storia
IL PAESE
Scendendo dai passi montani all’ingresso di Primiero ci accolgono i paesi di Tonadico, lungo il torrente Canali, e Siror, lungo il torrente Cismon. Il nucleo originario di Tonadico è raccolto nell’angolo sud-est dell’area agricola detta Campagna, perché la terra coltivabile era risorsa preziosa e rare le zone pianeggianti; gli edifici furono costruiti proprio sul ciglio del pendio che scende ripido al torrente Canali, a distanza di sicurezza dalle sue acque fredde e impetuose.
A tracciare la prima fila di case fu l’antica strada detta “rivalonga” (oggi via Scopoli) che correndo proprio sul margine, conduceva dal fondovalle al Castel Pietra e poi, attraverso il valico di Cereda, nella zona dell’Agordino. Su questo asse viario si innestò una fitta trama di vie pianeggianti e ortogonali rivolte verso la Campagna, contrapposte alle “rivette” che, con i loro caratteristici sottoportici, scendevano repentine alle roggie e al torrente Canali.
Non sappiamo se già sul colle di San Vittore esistesse un luogo sacro e neppure siamo a conoscenza del momento di fondazione del paese, certo è che nel 1206 Tonadico era una delle regole indipendenti di Primiero e che il suo fu uno sviluppo urbanistico, economico e politico che durò fino al Cinquecento.
Su ciascuna strada andarono ad affacciarsi case e rustici a formare varie contrade, e si inserirono edifici che daranno fasto al paese: come la chiesa di San Vittore e Palazzo Scopoli. A dar risalto alle facciate di alcuni edifici troviamo anche molti dipinti popolari di varie epoche che rendono Tonadico un vero e proprio “paese pinacoteca”.
LA CONTRADA DI FAVOREZZA A FINE SEICENTO
Il paese di Tonadico è suddiviso in numerose contrade, quella in cui è inserito Palazzo Scopoli è la “Contrada di Favorezza”. Grazie agli estimi di fine Seicento sappiamo che in Favorezza, allora come oggi, ci sono tre distinti blocchi di case: le case segnate dal n. 33 al n. 41, la casa segnata n. 49, le case segnate dal n. 62 al n. 64. Tredici sono le abitazioni di questa contrada. A noi interessa la parte più settentrionale di Favorezza, quella che va fino alla Chiesura Longa a nord e che porta all’acqua della Val di Lago sotto il colle di San Vittore, con le case segnate dal 62 al 64. È qui infatti che si incontrano le abitazioni degli Scopoli.
I limiti di queste proprietà, forse un tempo unite nel momento di massimo splendore della famiglia, sono a nord la Campagna di Tonadico, a est la strada imperiale che conduce all’abitato di Siror, a sud una corte che la divide (forse con una muratura) dalla strada comune, a ovest l’accesso ai terreni agricoli della Campagna. A fine Seicento Palazzo Scopoli ha più o meno la struttura che conosciamo ora: è un grande palazzo nobile, con una cappella privata e un’ampia corte dirimpetto alla facciata principale. Era inoltre presente un piccolo edificio, adibito a stalletta e fienile, addossato al corpo principale dell’edificio a sud-est.
Nella casa abitano i figlioli di Giovanni Battista Scopoli, morto molto probabilmente attorno al 1680, avuti assieme a Beatrice Cecilia Poppi (figlia dell’importantissimo capitano Poppi), e Lodovica Trieste, la seconda moglie di Giovanni Battista. La corte del palazzo è chiusa, lungo il lato ovest, da una seconda abitazione. Anch’esso un edificio di un certo sfarzo, decorato da un pregevole affresco – ancora parzialmente esistente – con raffigurata un’Ultima Cena. In questa casa a fine Seicento abita Francesco Giuseppe Scopoli, figlio di Giacomo. Dobbiamo quindi immaginare, per buona parte del Medioevo e fino a Settecento inoltrato, che le proprietà Scopoli a Tonadico non si limitassero ad un singolo edificio, ma ad un grande complesso residenziale all’ingresso del paese: un quartiere, con i suoi orti, campi ed edifici di servizio.
Il palazzo
IL PALAZZO
Palazzo Scopoli non è stato pensato, progettato e poi costruito in una sola volta seguendo l’intuizione di qualche architetto dell’epoca. Bensì è cresciuto pian piano adattandosi alla trasformazione politica ed economica del paese di Tonadico e dell’intera valle, e seguendo l’andamento della famiglia Scopoli e di quelle che sono poi sopraggiunte.
Sembrano essere quattro le fasi di vita del palazzo: partendo dal pieno Medioevo si giunge alla sua ultima fase di fine Novecento. Sono cresciute le sue mura in ampiezza e in altezza, sono cambiati i suoi abitatori: notabili, ricchi, contadini. Ma la trasformazione non ha interessato soltanto il suo aspetto esterno e i suoi spazi interni, bensì ha coinvolto anche tutto quel che gli stava attorno: cortili, edifici, strade. Palazzo Scopoli era dunque un elemento “vivo” all’interno di Tonadico: per questo motivo è sempre stato un punto di riferimento per la sua comunità. L’importante restauro di inizio millennio ci ha restituito parte di queste fasi, rintracciandone alcuni segni ma molti altri sono ancora nascosti alla nostra vista e alla nostra conoscenza.
IL PIANO TERRA
Il piano terra custodisce il mistero: il sacro, le prigioni, strette botole e antichi luoghi di deposito. Forse il seminterrato è lo spazio più antico del palazzo, era in questo ambiente che probabilmente venivano ammassate le granaglie quando, in pieno medievo, l’edificio era magazzino pubblico. E forse qui, la giustizia mostrava uno dei suoi volti nell’epoca in cui il palazzo era, così si dice, sede del marzolo e del capitano. I pochi e ripidi scalini di pietra, a sinistra dell’entrata principale del palazzo, scendono fino all’attuale accesso alla cappella dedicata a Santa Maria Maddalena.
Alcuni stemmi vescovili ricordano il suo originario splendore; oggi espone su tutti i suoi lati preziose opere provenienti dalla vicina chiesa di San Vittore. Superata la cappella, nella penombra del basso soffitto, intravediamo aperture ad arco murate, la grossa trave in larice che pare sorreggere l’intero edificio, una stretta apertura nel pavimento; e girato l’angolo in fondo alla sala, ecco comparire affreschi tardo-medioevali anch’essi provenienti dalla chiesetta sul colle.
IL PRIMO PIANO
Una stretta porta d’ingresso, cinque scalini di pietra, qualche passo fino al portalino e si accede al primo piano. Era questo il piano di servizio del palazzo: con un pavimento a larghe lastre di pietra grezza e una grande cucina con un immenso camino, dove la servitù si affaccendava attorno al fuoco per servire i signorotti e i loro ospiti.
Sono molte le porte che si affacciano nell’ampio corridoio centrale, alcune hanno tratti antichi mentre altre appaiono squadrate e moderne. Sono il segno evidente del tempo che passa, della trasformazione dell’edificio da nobile dimora a umile casa di contadini. Ecco che si nascondono, dietro le serrature, piccole stubi ottocentesche, a ricordarci il momento in cui nell’edificio vivevano otto famiglie, ma non mancano le sale affrescate. Infatti, anche se il primo piano era meno nobile del soprastante, è qui che troviamo le sorprese pittoriche. Già le pareti che stringono le scale d’ingresso mostrano, nelle lunette, i segni affrescati di antiche alleanze matrimoniali; e la stanza in fondo presenta, in tutti suoi lati, decori sia di buona fattura cinquecentesca che di gusto popolare più tardo.
IL SECONDO PIANO
È questo il piano nobile, perché qui la famiglia Scopoli dimorava. La breve descrizione dell’Estimo di fine Seicento ci racconta che il piano era formato da: «due stue, una cusina, quatro camere, salla grande». Come al piano primo troviamo un ampio corridoio che separa, a destra e a sinistra, le numerose stanze (e come di sotto, anche qui le porte sono di varia fattura e varie epoche). Ma in fondo, illuminato dalla luce che entra dalle maestose bifore, subito si scorge il pregevole arco stuccato d’inizio Settecento che incornicia l’accesso alla «salla grande».
Era questa la sala di ricevimento, di rappresentanza e ostentazione: il legno di larice che la avvolge le dona, allo stesso tempo, sobrietà ed eleganza. A guardarci, sulla parete che si affaccia alla piazzetta antistante il palazzo, i volti di alcuni componenti della famiglia Scopoli, che mai abitarono in questo palazzo: al tempo delle date segnate accanto ai loro volti, l’edificio era già di altrui proprietà. Ad impreziosire la sala, e le altre stanze del piano, la presenza di alcuni mobili d’epoca accuratamente restaurati.
IL SOTTOTETTO
Una grande sala dove la comunità di Tonadico, e non solo, si ritrova, discute, partecipa a conferenze, concerti ed eventi. La modernità del tetto, con i tiranti bianchi che contrastano con il nero delle sedie, ci proietta nell’oggi e negli attuali utilizzi del palazzo. Ma a fine Seicento il sottotetto è definito «soffitta». Termine che indica lo spazio asciutto della casa, dove seccare e conservare quei prodotti alimentari che mal sopportano l’umidità.
A differenza delle altre abitazioni del paese, che presentavano un tetto a capanna (a due falde) con un’ampia apertura sulla facciata soleggiata (timpano) dov’erano montati graticci e poggioli per l’essicazione, palazzo Scopoli aveva (ed ha) un tetto a padiglione con quattro falde spioventi. Per la piena circolazione dell’aria erano quindi previste delle aperture nello zoccolo di muratura che sorreggeva la travatura del tetto. Durante l’Ottocento tali fori di aereazione assunsero forme incerte, dimensioni irregolari e divennero sempre più numerosi in modo tale da mantenere secchi e ben conservati i fagioli, le zucche e gli altri prodotti del campo che venivano stesi sullo spesso pavimento di legno.
La famiglia Scopoli
ENTRARE A PALAZZO
Anticamente, l’ingresso al piano rialzato del palazzo era raggiungibile attraverso una scala che, partendo dall’aia esterna al palazzo, portava al grande locale coperto oltre l’elegante portalino in pietra. Con la chiusura del rivellino antistante il palazzo e la costruzione dell’attuale facciata, l’ingresso all’edificio, diventato nel frattempo una nobile casa di abitazione, viene profondamente modificato: si costruisce una scala di ingresso coperta da piccoli avvolti a crociera che, oltre a nobilitare l’ingresso all’abitazione mette in collegamento il piano terra – da cui è possibile accedere alla cappella privata – con il primo piano.
Sulla parete di destra, appena entrati, durante i lavori di restauro è stato scoperto il grande affresco che pone due stemmi affiancati. L’iconografia esalta una alleanza matrimoniale, secondo il codice araldico germanico. Una figura femminile, con una lunga veste a bande bianche e rosse, sorregge con entrambe le braccia gli stemmi del marito (che sta, come di consueto, a sinistra) e della moglie (a destra). Lo stemma della famiglia dello sposo è d’argento alla fascia di rosso con l’aquila di nero al volo spiegato. Lo stemma della sposa (evidentemente una Scopoli) non è più leggibile. L’affresco può essere dubitativamente datato alla prima metà del XVI secolo, un secolo dopo l’arrivo del primo Scopoli a Primiero.
UNA DINASTIA DI NOTAI
Gli Scopoli compaiono in valle sul finire del Trecento e scompaiono dopo circa quattro secoli. Il primo Scopoli di cui abbiamo notizia è Francesco, troviamo il suo nome in calce ad un testamento del 1395; l’ultimo Scopoli è Giuseppe, nato a Fiera il 23 marzo 1808.
Francesco è notaio e vicario di Primiero; il padre di Giuseppe, Vincenzo, invece è giudice: quella degli Scopoli è una lunga storia di potere e autorità, che non manca però di momenti bui e decadenza. Gli statuti del 1367 hanno stabilito che due notai, uno di Soprapieve e l’altro di Sottopieve, devono affiancare il podestà al vertice della struttura amministrativa di valle. Ed ecco che, a partire dal nostro Francesco, è un continuo susseguirsi di Scopoli nella carica di notaio o cancelliere. Giovanni, il nipote di Francesco, sarà «publicus imperiali auctoritate notarius» nel 1453; a lui succederà il figlio Ugolino, quindi il nipote Giovanni e poi avanti con Ugolino, Paolo, Giovanni Francesco figlio di Paolo, Giovanni Francesco figlio di Giovanni, Geronimo, Andrea, Giovanni Giacomo, Giovanni Battista e un altro Ugolino, che svolgerà la carica di «publicus apostolice et imperialli auctoritatibus notarius iudexque ordinarius» fino al 1664. A lui ne seguiranno molti altri lungo tutto il secolo successivo: ma non furono solo notai, coprirono anche le cariche amministrative di giurati, marzoli, massari, borgomastri; poi furono avvocati, cancellieri criminali, giudici, prelati e medici.
ALTRE ATTIVITÀ E INVESTITURE
A quella notarile gli Scopoli affiancano altre attività, investiture e iniziative personali. Su tutte il commercio della risorsa forse più importante e redditizia dell’epoca: il legname. Tra il 1439 e il 1440 il commerciante Francisck Scopolet, con ogni probabilità il nostro Francesco, è il titolare di contratti di taglio ed esportazione via fiume di larici e abeti.
Puntare sul legname è ottima cosa per le famiglie importanti di Primiero. Ed ecco che il figlio di Francesco, Ugolino, si farà promotore di iniziative di enorme peso: “inventore” del sistema della stua per il trasporto a valle del legname, si oppose al Vescovo di Feltre per rivendicare le libertà dei mercanti recandosi a tal proposito perfino a Basilea per conto del Comune.
Gli Scopoli sono anche ufficialmente vassalli del Vescovo di Feltre. Infatti gli oneri che gravano sulla popolazione non vengono sempre riscossi dalla signoria locale, i Welsperg, bensì dai membri di alcune famiglie importanti che hanno ricevuto dal Vescovo l’investitura di diritti decimali. Gli Scopoli, con altri, in qualità di vassalli vescovili, percepiscono tributi sui terreni lavorati e posseduti da altri uomini della valle o sulle attività legate all’allevamento. Non manca poi il possesso di terre e bestiami. Al punto che il notaio e cancelliere del Comune e del Castello della Pietra, Ugolino (nipote dell’Ugolino citato sopra), nel 1512-14 fonda la chiesa di San Giovanni sulla distesa di Prati Liendri sopra Mezzano, per permettere a quanti lavoravano le sue grandi terre di partecipare agli uffici religiosi.
VIVERE A TONADICO
Il loro paese è Tonadico, almeno inizialmente. Francesco, il capostipite, è definito de Tonedico e nella sua stupha (stua o stube) si riunisco nel 1420 le autorità per deliberare e decretare su questioni politiche ed economiche importanti. Anche il figlio Ugolino vivrà nel paese ai piedi del Castello e poi tutta la sua discendenza: infatti il cancelliero e notaio Andrea Scopoli è definito, nei registri di battesimo di inizio Seicento, di Tonadico (anche per distinguerlo da un suo omonimo di Mezzano).
A guardare l’Estimo di paese del 1681 si nota la forte presenza di Scopoli come possessori di terreni, edifici e abitazioni. Per esempio: Francesco Gioseffo possiede due «case di muro», un «tabiado», due «horti», un «brollo con alberi da frutta», undici campi e sette prati; Ludovica, seconda moglie del defunto Giovanni Battista Scopoli (primogenito di Andrea), possiede due orti, due prati, due «pezzi di terra arativa» e un mulino, nonché «una parte della Casa Scopula» (il nostro palazzo); i rimanenti «due terzi di Casa Scopula» sono indivisi tra i figli della prima moglie di Giovanni Battista, che inoltre possiedono un altro mulino e vari campi. Tutti loro, poi, sono titolari delle investiture vescovili: «decima di susonia» e «decima di crespolina».
Le proprietà Scopoli sono quindi imponenti nel paese, ma col Settecento calano in modo inaspettato, a tal punto che in un altro Estimo, datato 1780, sono ben pochi i terreni e gli edifici in loro possesso. L’unica Scopoli registrata è Angelica, vedova di Francesco, che possiede una casa, un orto, tre pezzi di terra arativa. Tutto il resto è in mano ad altri proprietari, anche il palazzo.
VIVERE ALTROVE
A partire dal capostipite Francesco la famiglia Scopoli cresce in modo esponenziale: vari rami si espandono un po’ in tutta la valle e anche fuori Primiero.
Nella seconda metà del Cinquecento Ugolino, trisnipote di Francesco, avvia una vera e propria politica patrimoniale nelle regole di Transacqua e Mezzano. Osvaldo, suo fratello, ottiene la gestione della casa della Stadera (bilancia pubblica) a Fiera, mentre il fratello Giorgio risulta possessore di una casa lì vicina. E sempre a Fiera, non distante dal cimitero di Santa Maria, vive anche il cugino Giovanni in una abitazione «cum furno et horto, cum curtivo». Fiera è appena nata e diventa fin da subito il cuore pulsante di Primiero che attrae tutte le personalità politiche ed economiche della valle: non stupisce quindi che i rampolli Scopoli decidano di trasferirsi nel nuovo villaggio.
Sempre nel Cinquecento abbiamo traccia di Scopoli residenti a Mezzano e Imèr, nel Settecento li troviamo possessori di terre anche a Siror. Alcuni poi escono da Primiero, si spostano sia verso nord sia verso sud per svolgere attività di notai e giudici. A nord si sposta Ubaldo Scopoli, notaio, che sul finire del Cinquecento si trasferisce in Val di Fiemme, a Cavalese: da lui prenderà avvio una discendenza di cancellieri, avvocati e scienziati: ricordiamo tra tutti Giovanni Scopoli (1723-1788), insigne medico e naturalista. A sud invece si trasferisce Baldassare Scopoli, che dopo gli studi giuridici rimane a Primiero fino agli anni trenta del Seicento per poi trasferirsi in Veneto, nella ricca cittadina di Bassano.
IL DECLINO E LA PROVA DI RITORNO
Dopo i fasti arriva il declino. Forse la perdita di prestigio oppure gli spostamenti in altri zone o le inevitabili lotte intestine (non mancano infatti episodi violenti: accuse, condanne, omicidi, morti improvvise), portano all’inaridirsi dei vari rami familiari. Se nel Seicento e nei primi decenni del secolo successivo contiamo, segnati nei registri di battesimo, la nascita di oltre cento Scopoli, da metà Settecento il calo è nettissimo e nell’Ottocento sono segnati solamente cinque nati. Di conseguenza anche le proprietà della famiglia diminuiscono repentinamente: rimangono possedimenti a Siror, Mezzano e Fiera, ma per esempio a Imèr nel 1750 non c’è più alcun proprietario Scopoli e a Tonadico nel 1780, come abbiamo visto, il crollo è pressoché completo.
Una luce di rinascita però si intravede, ad accenderla due rientri in valle: uno da nord e uno da sud. Sono rispettivamente Giovanni Paolo, da Cavalese, discendente di quell’Ubaldo partito da Primiero due secoli prima; e Vincenzo, giudice nel vicino Veneto e nei pressi di Trento. Entrambi, a cavallo tra Sette e Ottocento, risultano residenti a Fiera, segno che gli Scopoli hanno abbandonato definitivamente Tonadico; ed entrambi battezzano cinque figli nella chiesa arcipretale: ma nessuno di loro lascerà tracce evidenti in valle. Con le famiglie di Giovanni Paolo e di Vincenzo si chiude la presenza di Scopoli in valle, dopo circa quattro secoli d’esistenza.
La cappella della Maddalena
LA CAPPELLA DI S. MARIA MADDALENA
Con la nobilitazione del palazzo, e la costruzione della facciata principale dell’abitazione Scopoli, si tamponano i due grandi archi gotici di accesso alla corte interna ancora visibili all’esterno, nell’angolo sud-ovest dell’edificio, e parzialmente riconoscibili anche all’interno di questa sala. Il nuovo ambiente che viene così a definirsi, a pianta quadrata e quasi sicuramente a doppia altezza, anche se le tracce del soffitto originario sono scomparse, viene ben presto utilizzato come cappella.
La cappella è poco documentata. Comincia a essere citata negli Atti visitali (ovvero i registri delle visite pastorali, compiute dal vescovo di Feltre o dai suoi delegati alle parrocchie del territorio) nel 1575, dove viene descritta come un “oratorio con altare” dedicato a S. Maria Maddalena. Rimane il dubbio su chi la frequentasse e su come venisse utilizzata: detto in altri termini, se avesse funzione di cappella eminentemente privata o fosse aperta anche alla frequentazione di fedeli non appartenenti alla famiglia. Ora questo spazio è utilizzato come sede espositiva di alcune opere provenienti dalla vicina chiesa di S. Vittore.
L’ALTARE A PORTELLE
Appena si entra, a destra, l’attenzione è subito catturata dalla presenza di un bell’altare ligneo a portelle, che in origine si ergeva nello spazio absidale dell’antica chiesa, recentemente attribuito alla bottega del pittore e scultore Ruprecht Potsch di Bressanone (fine XV-inizio XVI sec.). Ciò che oggi si può ammirare è una cassa, chiusa da portelle decorate esternamente con figure a rilievo, già da lungo tempo perdute (forse la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante) e internamente con i rilievi delle Ss. Caterina e Barbara, che custodisce immagini a tutto tondo della Madonna con Bambino e dei Ss. Vittore e Corona (quest’ultima probabile copia del XIX secolo della scultura originale). La cassa poggia su un’alta predella con scrigno centrale, contenente un rilievo raffigurante la Natività, a sua volta chiuso da piccole ante dipinte all’esterno con due Ss. vescovi e all’interno con i santi invocati contro la peste, Sebastiano e Rocco. Sappiamo che l’altare in origine aveva anche una cimasa: nel 1649 venne infatti deciso di eliminare le mezze statue (forse busti o sculture di dimensioni inferiori) esistenti alla sommità della pala, che si erano deteriorate, attestando così la presenza del tradizionale coronamento, tipico degli altari a portelle tardogotici, composto probabilmente da guglie e pinnacoli ospitanti piccole sculture. Di notevole interesse è che l’intera superficie posteriore dell’altare sia coperta di iscrizioni e graffiti di varie epoche, in latino, italiano e tedesco, spesso accompagnati da date, la più antica delle quali risale al 1526. Questo dimostra che l’altare era staccato dalla parete e visionabile a 360 gradi dai fedeli, che lasciavano con queste scritture una traccia del loro passaggio in chiesa.
ECCE HOMO
All’interno della cappella si conserva anche un affresco con la rappresentazione dell’Ecce Homo, un tempo dipinto sulla parete meridionale nella chiesa di S. Vittore e ora trasferito a palazzo Scopoli. Assieme all’affresco è stata staccata anche la sua sinopia, il disegno preparatorio direttamente eseguito ed inciso sull’intonaco di supporto allo strato affrescato: essendosi conservata integra e ricca di dettagli, i restauratori hanno deciso di conservarla ed esporla, come interessante testimonianza della tecnica pittorica utilizzata. L’anonimo artista rappresenta Pilato mentre mostra Gesù al popolo, seguendo uno schema che prende a modello analoghe composizioni di incisori tedeschi, come quelle di Martin Schongauer (Colmar, 1450 – Breisach, 1491). Nel dipinto, il popolo inveisce contro Cristo, con le mani legate e il corpo coperto di sangue, mentre Pilato, che indossa una corona e il corno dogale sul capo come un doge veneziano, assiste alla scena accanto a un soldato alabardiere. La folla indossa, cucito sulle vesti, il cerchietto giallo che la legge imponeva di portare agli ebrei. Rappresentando le gialle insegne con dragoni e scorpioni piegate alle spalle della folla, l’artista richiama l’evento miracoloso riportato nel vangelo apocrifo di Nicodemo: «Quando Gesù entrò, le immagini che i vessilliferi portavano sulle insegne si inchinarono da sole e adorarono Gesù. Gli Ebrei, vedendo che le immagini si erano inchinate da sole, gridarono di là da ogni misura». Un’insegna araldica degli Scopoli appesa a una colonna del portico, in basso a destra, collega l’affresco a un membro di questa famiglia, probabilmente il notaio e cancelliere Ugolino, promotore di altre imprese edilizie e pittoriche nelle chiese del Primiero nei primi decenni del Cinquecento.
LA PALA D’ALTARE
L’ultima opera d’arte proveniente da S. Vittore è una pala d’altare seicentesca, ora affissa sulla parete sud della cappella. Si tratta di un olio su tela, di forma centinata, appartenente, con tutta probabilità, ad un altare un tempo addossato alla parete nord della chiesetta, dismesso e abbattuto in data imprecisata. Su di un trono architettonicamente ben impostato e sommariamente descritto, provvisto nel basamento di un’ornamentazione stilizzata a racemi e fiori, è seduta la Vergine col Bambino, quest’ultimo vivace nella sua posa stante. La Madonna è ritratta alta ed orgogliosa del suo ruolo, mentre riceve la corona regale dagli angeli in volo.
Ad un livello inferiore sono rappresentate le figure di S. Silvestro a sinistra e S. Zenone a destra. Sono entrambi santi la cui venerazione è anticamente attestata a Primiero: a Silvestro è dedicata una chiesetta a Imèr, dove si dice fossero conservate alcune reliquie di Zenone e Gerardo nell’altar maggiore. Tra i due compare, in atto di devozione, un terzo personaggio, un santo papa con la tiara e un libro chiuso a terra, presumibilmente Marcello.
La visita pastorale del 1698 ricorda infatti la presenza, nella chiesa di S. Vittore, di un altare “sub invocatione sancti Marcelli”. In basso a destra, di spalle, è rappresentata infine la figura a mezzo busto della Salomè, che reca in mano un vassoio dove è posato il suo macabro trofeo, la testa mozzata del Battista. Sappiamo che, in occasione della visita pastorale del 20 giugno 1611, il vescovo Agostino Gradenigo concesse l’unico altare laterale presente a S. Vittore in patronato perpetuo, con diritto di sepoltura, alla famiglia Scopoli, che si premunì di decorarlo con questa pala d’altare. La committenza scopoliana giustifica allora la presenza, nella pala, della Salomè, visto che Giovanni è un nome molto ricorrente in famiglia. Il Battista potrebbe addirittura essere il santo eponimo del committente: un Giovanni Battista di Andrea Scopoli, notaio e cancelliere, è attestato a Primiero negli anni Trenta del Seicento.
Quello che è certo è che il committente non badò a spese: notevole è, infatti, l’abbondante utilizzo del blu oltremare, ottenuto da lapislazzulo macinato, materiale di notevole preziosità e raro in Trentino, indice di una committenza di censo elevato. L’autore della pala, che non è né datata né firmata, è stato recentemente riconosciuto in Iseppo Asola (Belluno, 1560 circa – Feltre, post-1636), pittore poco noto ma piuttosto attivo nel Feltrino (sue sono alcune pale d’altare a Lamon ed Arsiè) e anche a Primiero, dove nel 1606 dipinse gli ambienti del piano nobile di casa Someda a Fiera, con scene storiche e mitologiche.
GLI STEMMI
Sulle pareti della cappella sono dipinti alcuni stemmi, appartenenti a vescovi feltrini che transitarono in Primiero e furono ospitati a palazzo. Sopra la sinopia dell’affresco con l’Ecce Homo, si nota la presenza di uno stemma sormontato da un cappello con sei fiocchi (altri sei erano dalla parte opposta) e banda di rosso carica di tre fiori, appartenente al vescovo Andrea Minucci (1757-1778). Sulla parete ovest, si trova una serie di quattro stemmi accostati, tutti sormontati dalla mitria, e quindi riconducibili a figure episcopali. Mentre però il primo – rosso alla sbarra d’argento – e il terzo (poco leggibile) non sono associabili ad alcun vescovo feltrino, il secondo (troncato d’azzurro e di rosso alla croce d’oro attraversante) e il quarto (partito: nel primo d’oro alla mezza aquila bicipite spiegata di nero, membrata ed imbeccata del campo, movente dalla partizione; nel secondo d’oro al levriero rampante di nero) sono rispettivamente gli stemmi del vescovo Antonio Pizzamano (1504-1512), che l’imperatore Massimiliano I nel 1509 costrinse a lasciare Feltre per recarsi in Primiero e restarvi fino a suo nuovo ordine, e Tomaso Campegio (1520-1559), di cui è documentata, nel 1533, la presenza in casa Scopoli.
La serie sembra tutta cinquecentesca. Chi potrebbero essere, allora, i portatori dei due stemmi rimasti sconosciuti? Non è da escludere che questi due stemmi vadano letti in accoppiata con quelli vescovili che li seguono. Forse sono da ricercare in relazione uno ad Antonio Pizzamano e l’altro a Tomaso Campegio (es. suffraganei, delegati, luogotenenti…). D’altra parte, la presenza della mitria non esclude altre possibilità: nell’araldica cinquecentesca l’utilizzo dell’ornamentazione esterna non era così rigoroso…
Gli affreschi provenienti dalla chiesa di S. Vittore
QUADRI DEVOZIONALI
La sala ospita alcuni affreschi provenienti dalla chiesa di S. Vittore, portati a palazzo Scopoli nel 2004, in seguito al restauro degli anni 1999-2002. Rimuovere dei dipinti murali dalla loro collocazione originaria non è mai una scelta facile. La Soprintendenza decise di staccare o strappare i riquadri solo laddove era possibile farlo con sicurezza, lasciando invece in sede ciò che sarebbe stato difficile togliere senza pericolo di perdite irreversibili. Lo scopo era quello di garantire la massima visibilità del ciclo pittorico duecentesco della chiesa, senza tuttavia perdere i dipinti successivi, che sono stati musealizzati a palazzo Scopoli.
Si tratta di riquadri devozionali, che furono commissionati da singoli o gruppi di privati cittadini come ex voto o, più in generale, per esprimere il proprio affidamento al santo ritratto. Opere di anni e di mani differenti, frutto del lavoro di artisti itineranti, che percorrevano le valli alla ricerca di occasioni di lavoro.
S. MICHELE
Il più antico della serie di dipinti, collocato in origine sulla parete meridionale della chiesa, è il S. Michele Arcangelo con devoto, databile tra la fine del XIII secolo e l’inizio di quello successivo. L’arcangelo si erge colossale, rispetto al fedele che gli sta inginocchiato a sinistra mentre tiene in mano un cartiglio, con un’iscrizione non più leggibile. Purtroppo manca parte del volto di Michele, ma è ancora ben visibile un piatto della bilancia che evidenzia la sua funzione di pesatore delle anime. Stilisticamente, il dipinto si connota per i chiari accordi cromatici e una certa ricercatezza nella decorazione delle vesti e nella resa dell’ala dell’angelo.
SS. GOTTARDO E MARTINO
Alla seconda metà del XIV secolo sono invece da riferire il S. Gottardo e il S. Martino e il povero, entrambi strappati e lacunosi nella parte inferiore, in origine parzialmente sovrapposti all’Ultima cena duecentesca sulla parete settentrionale di S. Vittore. Il S. Gottardo è tutto giocato su calde tonalità terrose, in contrappunto all’azzurro del fondo e della grande croce che decora il suo piviale. L’autore di questo dipinto fu probabilmente influenzato dai modi del Maestro di Sommacampagna, di cui riprende alcuni elementi come le mandorle allungate degli occhi e le marcate linee di contorno. Gottardo divenne in epoca medievale protettore contro numerose malattie, ma soprattutto patrono dei mercanti, e ciò spiega perché in ambito alpino, specialmente in prossimità di passi e di valichi, siano sorti molti luoghi di culto in suo onore. In Primiero la devozione al santo è testimoniata anche dalla più tarda cappella a lui dedicata presso il Passo Gobbera. Il vicino San Martino e il povero sembra invece riferibile a un pittore proveniente dall’ambiente padovano della metà del Trecento, forse per il tramite della bottega del Secondo Maestro di San Giovanni in Villa. È apprezzabile lo sforzo naturalistico nella resa del cavallo, nel chiaroscuro degli incarnati, nei dettagli preziosi di mantello e bardatura e nel caratteristico copricapo del povero, a cupola alta e tesa risvoltata.
S. SILVESTRO
Chiude la serie l’austero S. Silvestro, un tempo dipinto sull’estradosso meridionale dell’arco santo di S. Vittore. Patrono degli animali domestici, dei muratori e dei tagliapietre, questo santo papa era molto venerato in Primiero fin dal Medioevo. Il dipinto è datato 1404 dall’iscrizione che corre nella parte superiore dell’incorniciatura: M CCCC IIII / INRI / S(anctus) Silvester. La finezza esecutiva rimanda alla cultura figurativa veronese e padovana di fine Trecento, tutta intrisa dell’insegnamento di Altichiero e della sua bottega.
Le cantine
Le tre grandi sale del piano terra sono gli ambienti che più hanno mantenuto l’assetto originario, e pubblico, dell’antica fondazione dell’edificio. Sono tre stanze di grandi dimensioni, contraddistinte dalla presenza di un’imponente colonna centrale in legno che supporta una trave di sostegno e l’orditura, sempre lignea, delle travi del solaio. Le sezioni degli elementi portanti sono impressionanti, a dimostrazione del fondamentale ruolo che svolgevano nel passato, e ancora svolgono, nel supportate la struttura portante di tutto l’edificio.
Le tre sale, assieme ad una stanza più piccola con un elegante accesso ad arco in pietra (ora adibita a locale tecnico), probabilmente formavano il piano terra dell’edificio nel momento della sua fondazione. Muri perimetrali massicci, facili accessi dall’esterno, ampi locali interconnessi fra loro, piccole aperture per la luce: la struttura di questo piano lascia pensare ad un utilizzo pubblico, forse come magazzino. Da notare sul pavimento della sala la presenza di una piccola scala coperta da una lastra in vetro. Leggenda vuole che sotto a palazzo Scopoli fosse presente un antico passaggio, un cunicolo, che collegava Castel Pietra con palazzo Welsperg, al centro del borgo di Fiera (il novecentesco Albergo Roma). Palazzo Scopoli era quindi la stazione intermedia… Il passaggio a seguito di crolli venne murato. Risulta quantomeno singolare che un simile percorso passasse sotto a due torrenti, ma le leggende sono così, non vanno prese alla lettera: storie fantastiche che nascondo verità che non sempre sappiamo interpretare.
Attorno al Quattrocento, con la nobilitazione del palazzo e la chiusura dell’aia esterna, si aggiungono al piano quattro nuovi ambienti: lungo il lato sud la cappella dedicata a s. Maria Maddalena, l’ingresso al piano dal sottoscala ed una stanza nell’angolo sud-est. Nell’angolo opposto, a nord-ovest, si costruisce un secondo accesso al primo piano: una piccola scala in pietra con ingresso attraverso un archetto anch’esso in pietra.
La giustizia a palazzo
La piccola sala che guarda verso la chiesetta di San Vittore è del tutto simile, per struttura, agli altri tre ambienti che compongono il piano terra del palazzo originario. Nell’edificio un tempo si amministrava la giustizia per conto dei vicari vescovili prima, e del podestà e marzoli poi. Amministrare la giustizia in Primiero nel medioevo significava anche trattenere in carcere, nel castello o in luoghi appositamente adibiti dalla comunità locale, i malfattori.
Si dice che questa piccola stanza ospitasse le prigioni di Tonadico: una suggestione che in parte ancora si respira dentro queste quattro mura grazie alle anguste aperture con architrave in pietra e inferriate in ferro battuto, di cui la seconda di notevole fattura. Le altre pareti conservano invece le tracce di antiche aperture successivamente murate. Un grande arco in pietra a tutto sesto collegava questo ambiente a quello principale del piano terra, una finestra di dimensioni più ampie ed un vano porta mettevano in connesione con l’esterno dell’edificio. La parete sud infatti era il limite meridionale dell’edificio originario.
Altre famiglie, altre vite
CASA CONTADINA
Nel 1882 il palazzo è definito «casa contadina». Al suo interno, già da qualche decennio vivono otto nuclei familiari. Ad ognuno di essi è assegnato un numero civico, quindi all’interno delle mura sono presenti otto diverse abitazioni di proprietà di tre famiglie Gadenz detti Valesani, due famiglie Jagher detti Togno e due famiglie Bernardin detti Busanado e Pinter. Nel corso dell’Ottocento, dunque, l’edificio cambia d’aspetto: vengono aperte porte e finestre, parti di muro sono smantellate, le sale vengono suddivise in stanze e stanzette che sono dotate degli elementi necessari per viverci, come le stufe da riscaldamento. In questo caso vediamo il fornèl a musat (stufa in muratura) posizionato proprio lì dove la stanza è suddivisa in due piccole stubi, in modo tale da riscaldarle e renderle confortevoli entrambe.
LA SPARTIZIONE DELLE PROPRIETA’
La nobiliare Casa Scopula, nell’Ottocento non esiste più. Il palazzo, e gli edifici vicini, non vedono più avvicendarsi notai e cancellieri. Il primo è stato Francesco, a lui è succeduto il figlio e poi il nipote e avanti così per altre cinque generazioni, tutte definite da Tonadico. Nel tardo Cinquecento, però, il nome del paese scompare e non accompagna più il cognome Scopoli: è questo il momento in cui qualche componente della famiglia si trasferisce a Fiera.
Alcuni di loro, come Geronimo, anche se attestati come notai a Tonadico, vengono definiti da Fiera. La situazione sembra trasformarsi nuovamente ad inizio Seicento: in questo periodo sono segnalati due notai da Tonadico. C’è l’egregio dominus Andrea Scopoli e poi il canciliere Francesco: il primo è proprietario di Casa Scopula, il secondo degli edifici limitrofi. Infatti l’Estimo di Tonadico del 1681 ci conferma proprio questo. I discendenti di Andrea posseggono il palazzo: due terzi dell’edificio sono dei nipoti nati tra il matrimonio di Giovanni Battista, primogenito di Andrea, con Beatrice Poppi; la parte rimanente è invece della seconda moglie di Giovanni Battista, Lodovica Trieste. Gli eredi del canciliere Francesco continuano a possedere altre unità, meno prestigiose di Casa Scopula, tra queste «una casa di muro, et legname».
LA CESSIONE DI “CASA SCOPULA”
Ma, come detto, tutto cambia nel Settecento. Gli Scopoli si sfaldano, perdono di potere e prestigio, si spostano in altri paesi o emigrano fuori valle; forse la suddivisione delle proprietà crea malumori. Già nel 1701 i discendenti di Andrea, possessori di Casa Scopula, decidono di cedere dei loro possedimenti a Mezzano, come la chiesetta di San Giovanni costruita sui Pradi Liendri. Una soluzione che poi andrà a ripetersi anche per le proprietà di Tonadico. Nel 1714, in un atto notarile, si afferma che gli Scopoli che attualmente vivono nella «giurisdizione di Primiero» sono solamente tre: Paolo Antonio, Giovanni Francesco (con tre figli minorenni) e Francesco Andrea (di 14 anni), tutti provenienti da Tonadico. Non stupisce quindi, che a fine Settecento, la famiglia risulti pressoché inesistente. L’unica abitazione di proprietà Scopoli non è il palazzo, bensì quella «casa di muro, et legname», situata ad ovest dello stesso. La prestigiosa discendenza dell’egregio dominus Andrea scompare quindi dal paese: il bisnipote di Andrea, Francesco Andrea, è possessore nel 1752 di una «porzione di casa» a Fiera, forse ad indicare il suo trasferimento nel capoluogo. Così Casa Scopula passa ad altri padroni e nel 1780 risulta essere di proprietà della famiglia di Luigi Taufer, che pare ne venda una parte a Giambattista Sartena nel 1792. Gli scambi e le compravendite sono frequenti (forse per un periodo è addirittura edificio pubblico: cancelleria comunale o scuola), fino a diventare «casa contadina» di otto famiglie.
Le decorazioni pittoriche
GROTTESCHE, VELAMI …E UN CACCIATORE
In tutto il Triveneto, i palazzi appartenenti a famiglie nobili o rilevanti all’interno di una comunità avevano spesso una “pelle” molto colorata, sia all’esterno che negli ambienti interni. Questa pelle era data dalle pitture, che potevano decorare, a seconda del rango della famiglia, la maggior parte delle sale o solo alcune, utilizzate per “rappresentanza”: ad esempio, per ricevere gli ospiti, o svolgere i propri uffici: quelli notarili, nel caso degli Scopoli.
Questa sala presenta tracce di decorazioni pittoriche stratificate nel tempo. Alla fase cinquecentesca appartengono le pitture della parete d’ingresso, come conferma la data (lacunosa: 15..) posta vicino a uno stemma non più identificabile, eccezionalmente fiorito con un intrico di ramaglie. Un bel profilo d’uomo con cappello da cacciatore nobilita l’ambiente, impreziosito ulteriormente dalla decorazione a racemi e nastri fluenti color mattone, che si concludono in nappine. Questi ultimi erano presenti, prima del restauro, anche sulle pareti della chiesa di S. Vittore, a coronamento della navata, dove vennero dipinti alla fine del Quattrocento, probabilmente da un artista diverso, a riprova della consuetudine di proporre, tanto nelle abitazioni private quanto negli edifici pubblici, motivi decorativi la cui sintassi compositiva si ripeteva con variazioni di repertorio tutto sommato irrilevanti, sulla base di schemi consolidati fin dalla metà del XV secolo.
Probabilmente coeve sono le decorazioni della parete est, dove si apre una finestra che incornicia il panorama sul Castello della Pietra. Qui, si intravede ancora un fregio continuo decorato a grottesche, appoggiato a una finta trabeazione color porpora scuro. Più in basso, si conserva un lacerto di finto velame decorato con motivi vegetali neri, che correva lungo tutto il registro inferiore. L’autore dei dipinti ricalcò con precisione le decorazioni di uno strato di intonaco precedente, che ancora si intravede, dove la stessa finta trabeazione era sorretta da colonnine che partivano in porzioni rettangolari la fascia mediana, popolata da figure. Non è da escludere l’attribuzione del rifacimento cinquecentesco a Marco da Mel, frescante attivo a Primiero negli anni Quaranta del Cinquecento e legato alla famiglia Scopoli. Marco era esperto di decorazioni di interni e affrescò molte abitazioni civili di Feltre e dintorni, proponendo un repertorio poco innovativo, che ricalcava schemi ereditati.
L’ADORAZIONE DEI MAGI
Dipinta su uno strato di intonaco successivo, forse seicentesco, è la grande Adorazione dei Magi dominante la parete sud. La presenza di scene e personaggi sacri non è per forza spia dell’utilizzo religioso dell’ambiente. Al contrario, la compresenza di temi sacri e citazioni dalla tradizione classica, il tutto frammentato da inserti decorativi e scene di genere, era tipica delle decorazioni di interni, per tutto il Cinquecento e oltre. La scena è impattante per dimensioni, anche se male conservata e di gusto molto popolare. Il pittore definisce lo spazio dipinto all’interno di due archi ribassati, decorati con fogliame. In quello di sinistra, molto rovinato, ancora si intravede la figura di un Magio, senza corona e inginocchiato di fronte al Bambino, non più visibile. In alto, un angelo srotola un cartiglio con la formula liturgica g[loria] in ecellis (sic!) de[o]. Nel riquadro a destra, altri due Magi si stanno avvicinando, accompagnati da un giovane paggio. Il più anziano si sta togliendo la corona, in segno di umiltà. Dietro di loro, si intravedono due cammelli, elementi consueti del loro corteo.
Mangiare a palazzo
Con la presenza della famiglia Scopoli l’edificio assume i caratteri distintivi di una abitazione signorile.
Il primo piano diventa lo spazio di “servizio” al piano nobile soprastante. Si riproduce in questo modo quella chiara impostazione rinascimentale dei palazzi signorili, in cui la maggioranza dei locali di rappresentanza e quelli adibiti alla famiglia si posizionano sovrastanti i piani della servitù, spesso con accessi ben separati.
Il grande camino che domina questa stanza, che dal piano terra sale imponente fino al tetto attraversando il piano nobile, è testimone di questa natura domestica di Palazzo Scopoli. È molto raro trovare camini come questo ancora conservati negli edifici antichi. Fin dal Medioevo le cucine delle abitazioni nobiliari erano uno degli ambienti più frequentati e pieni di vita: erano i locali in cui operava, nascosta dagli occhi della famiglia ospite, la servitù. Qui, il fuoco era una presenza costante da mattina a sera.
I grandi camini che attraversavano i muri ed i piani dell’edificio erano anche uno dei modi più efficienti per riscaldare le case. La presenza di questo grande foro passante i piani dell’abitazione nel tempo ha indebolito la struttura della casa. Vi si è posto rimedio con la grande catena in legno che attraversa questa stanza e si lega con la muratura portante dell’edificio.
Il restauro
IL RESTAURO DEGLI ANNI DUEMILA
Bisogna attendere la fine del Ventesimo secolo per vedere rinascere l’antico prestigio di questo edificio. Siamo nel 1999, il Comune di Tonadico con il sindaco Marco De Paoli in testa, è fermamente convinto della necessità di recuperare il palazzo. Viene acquistato l’edifico e nel settembre finalmente possono cominciare i lavori.
Il progetto viene affidato allo studio dell’architetto trentino Sergio Giovanazzi (Studio Associato Giovanazzi), già attivo nel restauro di Palazzo Tabarelli di Trento, di “Casa Grande al Frassen” a Rovereto, del Teatro Sociale di Trento. Il lavoro è seguito per il Servizio Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento dall’architetto Fabio Campolongo. La stessa Provincia finanzia l’opera di restauro a cui partecipano attivamente oltre 20 ditte.
Finalmente, dopo quattro anni di lavori, il 20 settembre del 2003 con una grande festa pubblica viene inaugurato il “nuovo” Palazzo Scopoli. I lavori di restauro recuperano lo splendore e lo sfarzo di questa nobile residenza perseguendo un fine conservativo, in cui le diverse fasi cronologiche dell’edificio trovano una loro unità e lettura. Cambia solo la funzionalità dell’edificio. L’antica abitazione viene riadattata ad ospitare gli uffici pubblici del comune di Tonadico che qui rimane fino alla fusione dei comuni dell’alto Primiero.
IL PALAZZO OGGI
Con la fusione dei comuni la sede amministrativa di Tonadico viene chiusa ed il palazzo viene adeguato ad ospitare esposizioni, mostre, eventi ed attività culturali. In parte ripulito dalla sua veste più tecnica, a ricordo dell’antica funzione abitativa dell’edificio torna in funzione una cucina ed un forno da pane e viene adeguato l’impianto di illuminazione degli interni. Nuove funzioni, o antiche riproposizioni: il palazzo continua la sua pluricentenaria storia al centro dell’abitato di Tonadico.
La struttura architettonica
LA NASCITA DEL PALAZZO
Sicuramente la struttura originaria dell’edificio nasce successivamente alla formazione dell’abitato di Tonadico. L’edifico infatti non si posiziona lungo la via principale che attraversa il paese, la linea dell’originario sviluppo dell’abitato. Viene costruita ai margini di Tonadico, certo in una posizione di rilievo, laddove la via imperiale che portava al paese di Siror girava il colle di San Vittore per poi proseguire verso la Val Canali e il Castel Pietra, ma non nel nucleo delle prime case del paese.
Sembra che l’edificio abbia avuto da sempre, perché sempre lo ha conservato, un ampio andito esterno che gira tutt’attorno al fabbricato. Ma quando nasce? Difficile dirlo. Se volessimo perseguire il profondo legame che unisce Palazzo Scopoli alla chiesa di San Vittore sopra il colle omonimo la suggestione ci direbbe attorno al XII-XIII secolo. In epoca medievale quindi, ma informazioni certe e più precise non ce ne sono.
Sappiamo invece che la struttura originaria del palazzo era diversa. Un palazzotto, piuttosto basso e tozzo, costituito da soli due piani, con pianta sub-quadrata. Mancava infatti tutta la porzione di facciata che oggi possiamo ammirare, al suo posto forse una piccola cinta muraria, un rivellino lo definiscono gli architetti Giovanazzi nella loro analisi storica. Il rivellino è un paramento murario, una struttura, atto alla difesa dell’ingresso della fortificazione principale. La sua presenza lascerebbe intuire una prima funzione del nostro edificio di tipo militare, funzione forse avvalorata dal ruolo di “amministratori della giustizia” svolto dai primi abitanti di Palazzo Scopoli. La struttura interna dell’edificio, in cui la pianta del piano terra si ripete in quella del piano soprastante, suddivisa in stanze di grandi dimensioni, con copertura lignea impostata su un grande pilastro centrale, facilmente accessibili dall’esterno, con aperture di piccole dimensioni, lascia invece intuire una differente funzione pubblica dell’edificio, forse un magazzino.
L’INTERVENTO SCOPOLIANO
L’attuale forma, più alta ed elegante, di cui le tre bifore aperte sulla nuova facciata sono le principali testimoni, deriva dalla trasformazione dell’edificio pubblico in casa d’abitazione e rappresentanza. Questi cambiamenti sono dovuti alla famiglia Scopoli, che qui ha risieduto forse già dalla fine del Trecento fino a fine Settecento. La cinta muraria esterna al prospetto sud dell’edificio viene utilizzata come fondazione dell’allargamento del palazzo. Vengono chiusi i due grandi portali che ancora oggi si vedono murati nell’angolo sud-ovest. Un nuovo ingresso è quindi necessario: si posiziona al centro della facciata, da questo si può raggiungere il piano terra e il primo piano. Il piano terra si chiude, diventa cosa privata, ed è probabilmente in questa fase che viene dedicato l’angolo sud-ovest dell’edificio ad ospitare la cappella privata intitolata a S. Maria Maddalena.
Ed è sempre in questo periodo che la casa si impreziosisce di alcuni degli elementi decorativi che ancora oggi vediamo. L’edificio diventa un’abitazione, e così rimarrà fino alla fine del Ventesimo secolo. Ecco allora la necessità di avere una cucina. La famiglia Scopoli abita il piano nobile del palazzo, il secondo piano. È li che si concentrano gli stucchi, le cornici, gli eleganti rivestimenti in legno delle stubi che servono ad ostentare la ricchezza e l’importanza della famiglia. Un imponente androne conduce alla grande stanza che si affacciava, attraverso due magnifiche bifore, alla corte esterna ed al paese di Tonadico. Una terza bifora, con una preziosa colonnina in legno, illuminava la stube privata della famiglia, il cui rivestimento ligneo ci porta, attraverso un millesimo inciso (1635), al Diciassettesimo secolo. Il pregevole arco stuccato è stato invece attribuito alla prima metà del Diciottesimo secolo. È forse l’ultimo testimone dello sfarzo e della ricchezza del palazzo: qualche decennio dopo inizia l’indebolimento della famiglia e, con esso, la lenta e inesorabile decadenza dell’edificio.
UNA CASA MULTIFAMILIARE
Già nel Settecento l’edificio è suddiviso tra due distinte famiglie Scopoli. Ci abitano contemporaneamente Lodovica Trieste (seconda moglie di Giovanni Battista Scopoli) con i suoi figlioli e i figli di Beatrice Cecilia Poppi (la prima moglie di Giovanni Battista). Di questo periodo è anche la presenza di un piccolo edificio che compare addossato alla casa, lungo l’angolo sud-est: una piccola “stalla e tabiado”. Questo edificio nel tempo si trasforma prima in una piccola abitazione, poi in una ristrutturazione poco felice che porterà alla sua demolizione durante i restauri di inizio anni Duemila. Ma torniamo al Settecento… La famiglia Scopoli si indebolisce, si impoverisce, il palazzo insieme ad altre proprietà viene venduto. Lo occupano gli eredi di Luigi Taufer prima, dei Sartena poi e numerosi altri. Si arriva, a metà Ottocento, a contare ben otto distinti nuclei famigliari. Otto famiglie significano otto distinti appartamenti. Ecco allora la costruzione di tramezzi, porte, finestre, camini, cessi. Si suddividono gli spazi: da 19 ambienti si passa a 41! Ed è così che il palazzo, oramai fatiscente e con seri problemi di staticità appare al muratore nel settembre del 1999, il giorno di inizio lavori del restauro che oggi ammiriamo.
L’arco stuccato
La crescente importanza della famiglia Scopoli, che corrispose alla fase seicentesca e del primo Settecento, coincise con quella del palazzo, sede della sua attività notarile. Per collegare la sala d’angolo del primo piano con l’androne contiguo, nel 1720 circa venne aperto un grande portale ellittico di pregevole fattura, decorato, nell’intradosso, con rosoni e altri motivi vegetali. Lo stucco era in origine dipinto: lo si capisce dalle tracce di colore azzurro rinvenibili sullo sfondo. L’arco è supportato da pilastri di gusto classicista, terminanti con capitelli ionici. Sulla facciata, la decorazione prosegue con nastri e volute, che terminano nelle figure di due delfini stilizzati.
Assieme a questo arco nobilitano la stanza gli stucchi del soffitto, l’elegante cornice della porta conclusa in un timpano ad arco spezzato e le sinuose bifore (in origine erano due) che si affacciano sulla corte dell’abitazione.
Prestigio e ricchezza
STRATEGIE MATRIMONIALI
La ricchezza va esibita, ma anche mantenuta. Le famiglie prestigiose hanno sempre attivato strategie per rafforzarsi, soprattutto attraverso legami matrimoniali o scegliendo padrini e madrine influenti. Nel 1593 donna Lucrezia Scopoli sarà madrina di battesimo di una Welsperg, la figlia del signore della valle; così come nel 1618 il notaio Andrea Scopoli porterà a battesimo Massimiliano Someda, rampollo della più importante famiglia di commercianti di legname della zona.
Con l’andar delle generazioni gli Scopoli si imparentarono con le principali famiglie non soltanto della zona: Petroboni e Nocher e Lazaris e Zasso e Burattini (Agordo), Castelrotto (Strigno), Althamer e dalla Costa e Poppi (Borgo), Trieste (Asolo), Cassan (Predazzo), Sarri (Bassano), Barpo (Belluno), de Gottardi e Prato e Fageredo e Meneghetti (Poschiavo), Imana (Fondo), Ierli e Valle (Zorzoi), Rachini (Segusino), Leporini e Bondi (Gosaldo); e molte altre, andando così a creare una vera e propria ragnatela sociale fittissima.
I QUATTRO QUADRI
Le quattro riproduzioni esposte in questa stanza, copie degli originali conservati presso un’abitazione di Fiera, ritraggono i protagonisti dell’ultimo importante legame matrimoniale, avvenuto nel 1792 tra Angela Scopoli e Antonio Sartori, il Cancelliere di Primiero.
Angela Giuditta Scopoli è una delle figlie di Giovanni Paolo, detto anche Giampaolo o Paolo, e di Giustina Candioli. Giampaolo è nato e cresciuto a Cavalese in Val di Fiemme ed è uno dei discendenti di Ubaldo Scopoli che si trasferì al di là del Passo Rolle sul finire del Cinquecento. Giampaolo è tornato a Primiero sul finire del Settecento. Arriva con la famiglia, non ci è dato sapere con quanti figli, ma sicuramente con lui c’è la figlia Angela Giuditta, nata a Cavalese qualche anno prima, il 25 luglio 1769. La famiglia di Giampaolo va ad abitare a Fiera, al numero civico 20: Tonadico è ormai un paese che con gli Scopoli non ha più nulla a che fare, o pochissimo (il palazzo è stato venduto o ceduto ad altre famiglie e le proprietà sono misere rispetto ai fasti del passato). Fiera invece è il centro politico ed economico della valle e lì, il nostro Giampaolo, decide di vivere. Nel 1778 nascerà la sua prima figlia primierotta, Maria Teresa, alla quale seguiranno: Pietro Paolo, Giacomo, Giuseppe, Paolo e nel 1789 Maria Giustina.
Quella di Giampaolo è l’unica famiglia Scopoli presente in valle a fine Settecento. Sui registri di nascita e battesimo troviamo solo il suo nome tra i padri. La sua professione è quella di avvocato, «Nobile Signor Avvocato», stando ad alcuni documenti. Ma in poco tempo farà uno scatto di carriera. Infatti il quadro che lo ritrae porta la seguente dicitura: “Giovanni Paolo Scopoli Prefetto e Vicario generale della valle”. Il suo potere, unito alla sua prestigiosa discendenza, gli consente di accasare la sua primogenita con il Cancelliere Antonio Sartori. Ecco ancora una volta dimostrato che il vecchio metodo delle strategie di parentela non fallisce mai.
La stube degli Scopoli
Ci troviamo in una piccola stua (o stube) interamente rivestita in legno. Il termine “stube” deriva dalla presenza di una stufa posizionata al centro o addossata alle pareti lateriali della stanza, oggi scoparsa da questo ambiente. Erano uno dei pochi locali riscaldati presenti nelle case e per tale motivo spesso – come in questo caso – erano esposte verso sud.
Queste stanze erano uno dei luoghi più importanti delle case, in cui si svolgeva buona parte della vita famigliare, erano generalmente rivestite in legno per renderle più calde ed accoglienti. Il nobile affaccio alla piazzetta antistante il palazzo è contraddistinto dalla splendida bifora con pilastrino in legno e cornici in pietra che caratterizza l’impianto quattro-cinquecentesco della facciata del palazzo.
Il soffitto è decorato con una grande specchiatura circolare a stucco, mentre tutto il rivestimento ligneo è caratterizzato da pregevoli modanature a colonna e cornici intarsiate che corrono lungo tutto il perimetro e gli architravi delle aperture. Nell’angolo della stanza è presente una madia, un piccolo armadio a muro una volta molto impiegato negli edifici d’abitazione. Se, una volta entrati nella stanza, ci si gira e si volge lo sguardo sopra la porta d’ingresso, possiamo ancora notare il millesimo di costruzione del rivestimento ligneo della stube. È elegantemente incisa nel legno la data “1635” sormontata dalle lettere “IHS”: il classico cristogramma che deriva dal greco antico ΙΗΣΟΥΣ (Iesous), utilizzato fin dal medievo anche come acronimo latino di Iesus Hominum Salvator, “Gesù salvatore degli uomini”.
Le committenze artistiche degli Scopoli in Primiero
SCOPOLI IN PRIMIERO
Come era comune in passato per le famiglie importanti, anche gli Scopoli si fecero patroni delle arti, beneficiando specialmente diverse chiese di Primiero. Gli Scopoli nel corso del Cinquecento fondarono o “colonizzarono” diverse chiese di Primiero, accomunate dalla ridotta dimensione e dalle funzioni soprattutto devozionali. Esclusa dall’elaborazione del sistema simbolico della rinnovata sede pievana a Fiera, la famiglia trovò nell’apparato decorativo di queste piccole chiese – specialmente quella di S. Vittore, che stava nella “sua” Tonadico ed era molto vicina al palazzo – lo strumento per ostentare potere e ricchezza, installandosi su devozioni consolidate da secoli.
S. GIOVANNI A MEZZANO
Nell’aprile del 1514, il notaio e cancelliere Ugolino fece erigere una chiesa intitolata ai Ss. Giovanni Battista ed Evangelista sui Prati Liendri sovrastanti Mezzano, che erano di sua proprietà, per mano dei costruttori comacini Cristoforo e Michele, che ne completarono la fabbrica in soli due mesi. Il 24 giugno, festa del Battista, il pievano di Primiero vi celebrò per la prima volta la messa. L’edificio venne affrescato nel 1523 dal pittore di Norimberga Francesco Naurizio, che dipinse, nell’abside, una Pietà attorniata da santi e un Cristo in gloria, mentre sull’arco santo dispose, come di norma, la scena dell’Annunciazione. Pochi anni dopo, nel 1533, il vescovo Tomaso Campegio, ospite a Tonadico in domo ser ugolini de scopulis not.ii («nell’abitazione del signor notaio Ugolino Scopoli»), su richiesta dello stesso Ugolino, concesse indulgenze ai fedeli in visita alla chiesa, autorizzando inoltre, con altro decreto emanato nel palazzo Scopoli, i fedeli di Tonadico a posticipare la festività dei santi patroni Vittore e Corona, prevista da calendario il 14 maggio, in un tempo più opportuno rispetto alle esigenze del lavoro agricolo. La chiesa rimase di proprietà della famiglia fino a inizio Settecento, dopo di che fu donata alla comunità di Mezzano.
S.MARTINO A PIEVE
Gli Scopoli non si limitarono a costruire la chiesetta di S. Giovanni a Mezzano. Seguendo un preciso e consolidato schema di mecenatismo autopromozionale, beneficiarono di loro commissioni artistiche anche altri edifici di culto del Primiero. Ritroviamo il loro stemma, fra le iniziali I e S riconducibili probabilmente a Iacopo (uno dei fratelli di Ugolino), scolpito sul portale della chiesa di S. Martino a Fiera, un antico edificio di culto eretto nelle vicinanze della pieve. Il Redentore dipinto sul sovrastante timpano, così come il Cristo risorto e glorioso in mandorla dello strato di intonaco cinquecentesco dell’abside, sono di nuovo di mano dei Naurizio – forse di Rocco, che qui lavorò, su mandato dei “massari” (gli amministratori) della chiesa, negli anni Trenta del XVI secolo, come si evince da un’iscrizione lacunosa. Che sia stato determinante il contributo degli Scopoli, risulta chiaro dalla presenza della loro impresa araldica, ripetuta anche nell’abside, in posizione di cortesia rispetto al blasone della più importante famiglia Welsperg, collocato al centro della fascia orizzontale.
S. SILVESTRO A IMÈR
Al termine dello stesso decennio, Marco da Mel dipinse le storie del santo patrono nella chiesa di S. Silvestro, posta sopra un’altissima rupe che sovrasta il paese di Imèr, registrando il suo nome, quello dei committenti e la data di esecuzione: «marcho pitor da mel l’ano 1540 de magio essendo massari zuan schoplo e zuanfranco fiol de paulo schopolo».
S.VITTORE A TONADICO
Infine, la chiesa di S. Vittore a Tonadico fu quella che gli Scopoli privilegiarono più di ogni altra, intervenendo più volte per la sua decorazione artistica della quale, in età moderna, sembrano essere stati i committenti esclusivi, tanto da ottenere, nel 1611, il patronato dell’unico altare laterale. L’impresa artistica principale qui promossa dagli Scopoli, quanto ad estensione materiale, fu il rinnovo della decorazione dell’abside, dipinto nel 1577 dal pordenonese Girolamo dal Zocco.
Gli Scopoli fuori dal palazzo
A partire dal capostipite Francesco, attivo nella fine del Trecento, la famiglia Scopoli cresce in modo esponenziale: vari rami si espandono un po’ in tutta la valle e anche fuori Primiero. Nella seconda metà del Cinquecento Ugolino, trisnipote di Francesco, avvia una vera e propria politica patrimoniale nelle regole di Transacqua e Mezzano. Osvaldo, suo fratello, ottiene la gestione della casa della Stadera (bilancia pubblica) a Fiera, mentre il fratello Giorgio risulta possessore di una casa lì vicina. E sempre a Fiera, non distante dal cimitero di Santa Maria, vive anche il cugino Giovanni in una abitazione «cum furno et horto, cum curtivo». Fiera è appena nata e diventa fin da subito il cuore pulsante di Primiero che attrae tutte le personalità politiche ed economiche della valle: non stupisce quindi che i rampolli Scopoli decidano di trasferirsi nel nuovo villaggio. Sempre nel Cinquecento abbiamo traccia di Scopoli residenti a Mezzano e Imèr, nel Settecento li troviamo possessori di terre anche a Siror. Alcuni poi escono da Primiero, si spostano sia verso nord sia verso sud per svolgere attività di notai e giudici. A nord si sposta Ubaldo Scopoli, notaio, che sul finire del Cinquecento si trasferisce in Val di Fiemme, a Cavalese: da lui prenderà avvio una discendenza di cancellieri, avvocati e scienziati: ricordiamo tra tutti Giovanni Scopoli (1723-1788), insigne medico e naturalista. A sud invece si trasferisce Baldassare Scopoli, che dopo gli studi giuridici rimane a Primiero fino agli anni trenta del Seicento per poi trasferirsi in Veneto, nella ricca cittadina di Bassano.